Hermann Nitsch anniversario dalla morte
di Alain Chivilò
©Alain Chivilò
Il continuo movimento percettivo di Hermann Nitsch
Hermann Nitsch ama l’Italia e non lo nasconde, perché nel nostro Paese ha trovato modo di essere apprezzato e capito. Al castello in Austria di Prinzendorf, sua casa abituale, alterna periodi ad Asolo e a Napoli, dove ai piedi del Vesuvio il lungimirante Giuseppe Morra, presidente dell’omonima Fondazione, ha creato in collaborazione con il Maestro il Museo Nitsch, fornendo alla città Partenopea una porta d’accesso di primaria importanza al contemporaneo. Nato a Vienna nel 1938, Nitsch è un’artista a tutto tondo che considera l’Arte a 360 gradi. Pittore, autore di musica e di lavori teatrali ha trovato nella performance la sua dimensione internazionale. E’ massimo esponente dell’Azionismo Viennese, movimento che utilizza tematiche e immagini di stampo psicologico, autolesionistico e sado-masochistico con un approccio dissacrante, mai provocatorio, nei confronti di simboli presi dal corpo, dalla sessualità e dalla religione. Da un lato discusso, dibattuto e contestato per aver proposto un’Arte in anticipo rispetto ai tempi, dall’altro compreso, amato e apprezzato da coloro che percepiscono un approccio emozionale totale. La sua poetica, come esplica Nitsch nell’intervista, parte dall’esperienza della realtà attraverso i sensi e l’immediatezza dove non è necessaria alcuna spiegazione, facendo si che la parola sia superflua. Partendo dal rispetto di tutte le forme di religione, l’artista diventa un profeta che conduce l’Arte attraverso la percezione. Tensione, energia e una musica di natura grafica, fuori dai consueti canoni compositivi, in cui la realtà è inserita all’interno di una struttura drammatica. Prima della performance di pittura 64. Malaktion al Mart di Rovereto, lo abbiamo incontrato durante una serata conviviale, dando all’intervista un’originalità fuori dai consueti canoni formali.
NB: © Alain Chivilò – Art Musa
La sua infanzia non è stata facile. Cosa le è rimasto maggiormente impresso e quali sono state le prime linee guida del suo pensiero artistico?
Il periodo era quello molto duro della II guerra mondiale. C’erano bombardamenti ogni giorno e dovevamo scappare nei rifugi sotterranei. Mia madre portava con sé varie cose come documenti. Ricordo che molte persone pregavano. C’erano solo due parole che potevano descrivere la situazione: vita o morte. Il paesaggio fuori era come un quadro simbolista: le case erano distrutte, il cielo era nero perché ogni cosa stava bruciando. Mio padre era al fronte che combatteva e non ho avuto molti contatti con lui. Quando venne a trovarmi fu una grande festa in quanto potevo dire di avere un padre. Purtroppo alla notizia della sua morte a mia madre crollò addosso il mondo. Mio nonno mi disse queste parole: sei un povero ragazzo, tu non hai più un padre. Tutto questo per me è molto triste e brutto. Invece nell’ambito degli studi, il disegno fu la mia forza data una certa predisposizione. A quel tempo ebbi l’opportunità, dedicando tutto me stesso, di studiare poesia, storia e religione. Inoltre la musica assunse grande importanza per me, in quanto andavo a Vienna durante l’annuale stagione concertistica. In quest’ambito Wagner era ed è uno dei miei preferiti. Ero affascinato da come il suo teatro avesse un suo svolgersi nei festival religiosi. Partendo da qui, personalmente volevo di più e avevo 19 anni. La mia intenzione era di creare qualcosa nell’ambito di un festival dell’esistenza, con una situazione vicina a una festa sacra insieme alla partecipazione di una moltitudine di persone. In questo modo concepii il Sechs-Tage-Spiel che originariamente era con parole scritte. Una sorta di teatro arcaico che univa e completava tutti gli approcci drammatici. Volevo iniziare con l’antico teatro greco, Shakespeare e Kleist. Altre influenze le ebbi comunque dal Simbolismo francese e dall’Espressionismo.
La perfomance pubblica (arte, musica, politica) unisce insieme molte persone di diverse provenienze. In una società individualistica come questa può fare sentire meno sole le persone?
Non solo nella performance ma nel teatro classico e nei musei per esempio. In generale ci sono diversi fattori che fanno unire più persone in questa società individualistica.
Cos’è la musica per Hermann Nitsch a livello personale? Invece cosa rappresentano la musica e le grida nelle sue performance?
Mi sono sempre confrontato con la musica in generale dal genere classico, all’etnico, all’antico fino al moderno. Oltre a Wagner mi piacciono i primi lavori di Richard Strauss e Skrjabin. Quest’ultimo cercò di creare una certa sorta di mistero nel teatro. Voleva che i suoi spettatori andassero verso uno stato d’estasi di salvezza. Da qui pensai: perché non creare un teatro a grandezza naturale come nei tempi del Rinascimento? Perché non creare un teatro che duri per giorni? Ad ogni modo credo di aver creato con la musica del mio teatro una forma molto personale a livello compositivo. Il rumore diventa uguale alla musica, che a sua volta è molto estrema. L’urlo invece diventa essenziale nella mia musica. Le urla di piacere e di morte sono molto importanti così come la musica dei rumori. C’è stato un lungo periodo in cui mi dispiaceva di non aver imparato la teoria della musica classica. Non ero capace di comporre in modo classico. A dire il vero mi capitava di non averne particolarmente bisogno perché la musica, che produco, era ed è tuttora amorfa tanto da non essere chiaramente scritta nel classico sistema delle note musicali. Così creai una partitura che mi permettesse d’ideare queste composizioni tipicamente quasi amorfe.
Il progetto iniziale del Teatro delle orge e dei misteri è pensato come un grande evento cerimoniale che condensi in se miti, modelli, rituali e simboli archetipici fondamento della cultura europeo-mediterranea. Nel XXI secolo, in una società diversa da allora, è ancora così?
Una società cambia sempre e cambierà nuovamente in futuro. Per me è stato molto importante non utilizzare la lingua parlata. Il linguaggio non è abbastanza. L’importante è portare indietro memorie di sensuali percezioni. Studi dimostrano che gli uccelli, al giorno d’oggi, cantano nelle grandi città in modo più forte che in passato. Così in Arte si deve trovare un modo più forte e intenso rispetto al linguaggio che essa stessa possa mai veicolare. Ecco come giungo a questa sorta di teatro: tutto consiste nel mostrare dall’interno sensazioni molto intense a livello percettivo.
Nel Teatro delle orge e dei misteri non si evidenzia la presenza, il ruolo specifico, l’espressione e la tecnica di un attore principale ma c’è il collettivo. C’è una motivazione?
Ho bisogno di molte persone per esprimere ciò che voglio. Comunque gli attori nella performance sono da dividere in attivi e passivi, anche se si evidenzia un collettivo. Per esempio a Cuba inizialmente quasi tutti volevano assumere il ruolo attivo. Voglio che la gente senta con il mio teatro un evento reale che possa essere sperimentato con tutti i 5 sensi. Ha un odore, può essere assaggiato, può essere visto, può essere sentito e ascoltato. I sensi sono raggiunti attraverso la consapevolezza ed è questo un antico dilemma di Platone, ossia lo spirito deve opporsi alla carne. In verità, secondo me, è l’unità di queste due cose.
Nell’action painting americana parla il linguaggio del corpo ma c’è distanza tra quadro e esecutore. Nel suo azionismo invece opera e esecutore sono un tutt’uno. Il camice bianco che usava anche Klimt è il tramite?
Non solo il camice di Klimt che ha un ruolo comunque importante, ma si possono trovare similitudini anche nel Jugendstil e in Stefan George. Si percepiva l’artista come un sacerdote. Un concetto riscontrabile anche nei simbolisti.
Nell’arte contemporanea la provocazione è usata per creare un sentimento interiore non positivo al fine di avere maggiore evidenza e successo. Negli anni ha avuto accuse per esempio dalle religioni monoteiste e dagli animalisti per una sua arte anch’essa provocatoria. Io credo che non lo sia, ma pensa di aver utilizzato quest’aspetto involontariamente?
No, perché non ho mai voluto offendere o discriminare le diverse religioni del nostro pianeta.
Cos’è il castello di Prinzendorf per lei?
Il castello di Prinzendorf è il Teatro delle Orge e dei Misteri. Attraverso i miei studi e la pittura ho compreso la bellezza di questo paesaggio. Ho ri-vissuto i tramonti di Van Gogh e ho provato forti esperienze mistiche in questo castello. Ho provato forti gioie lì e mi sento una parte di esso. C’è il contatto con la natura e la vita. E’ il luogo dove poter realizzare tutto questo.
L’Italia, come luogo, fornisce delle caratteristiche diverse a un’azione rispetto ad altri paesi del mondo?
Sì, in Italia la mia Arte è compresa molto bene. Precisamente nella città di Napoli mi sento compreso molto di più.
Ulteriori approfondimenti nel video: Hermann Nitsch | Actionism
di Alain Chivilò